La prima volta del Colle costretto in seconda fila

Il cielo sopra il Quirinale è gravemente perturbato e il suo inquilino non è stato però avvertito del repentino cambio di stagione. Piove tanto, ma a sua insaputa. Le parole con le quali ieri Giorgio Napolitano ha dovuto commentare l’ingresso in campo di Mario Monti, messe insieme non fanno una frase intera. Con quel “vedremo domani cosa succede”, riferito alla reazione dei mercati alla violenta accelerazione della crisi, il capo dello Stato regredisce d’incanto nel ruolo di mero osservatore, e pone tra sé e il premier uscente un buon metro di distanza.
Il comunicato che ha cambiato tutto
Merito di quest’ultimo che due giorni fa è salito al Quirinale appallottolandogli nelle mani il comunicato del commiato dal ministero tecnico con l’annuncio della sua entrata nel rettangolo di gioco, titolare della squadra centrista che nel suo nome farà valere le ragioni del voto quando le urne si apriranno. Napolitano dunque è rimasto con quel comunicato in mano, con la bocca aperta e con il ricordo delle sue stesse parole, pronunciate non più di qualche settimana fa, sul futuro di Monti: “È incandidabile”. Significava non soltanto che il Professore non avrebbe mai preso parte alla campagna elettorale ma che sarebbe stato enucleato dalla lotta politica, raffreddato in una cella frigorifero ed estratto, come champagne d’annata, ad elezioni avvenute da grande riserva doc della Repubblica. Suo successore al Quirinale, oppure (ipotesi b) prosecutore dell’azione di risanamento a palazzo Chigi, Monti dopo Monti. Dipendeva anche qui dal responso delle urne: se Bersani avesse avuto la maggioranza in Parlamento, via libera al trasferimento sul Colle. Senza maggioranza, conferma del ruolo di premier. Il settennato di Napolitano, politicamente il più denso che la storia della Repubblica ricordi, viene così condotto un po’ alla deriva quando manca alla sua conclusione un pugno di settimane. I piani, e forse gli accordi, non erano questi, e tutto faceva prevedere che così non andasse. Tutto.
La sequenza dei “moniti”
La caparbietà con la quale il presidente della Repubblica ha governato l’ascesa di Monti nell’orizzonte politico dei partiti, e persino le misure che potessero salvaguardarne la vita futura. Mai presidente è stato così presente, ai limiti dell’assillo quotidiano, nell’incitamento a cambiare la legge elettorale, che polarizza verso le estreme i consensi lasciando al centro dello schieramento, l’alveo al quale fa riferimento il premier attuale, più rischi che opportunità. Per settimane è andata avanti una filastrocca comica sulla necessità di abolire il Porcellum, prevedere le preferenze, equilibrare il premio di maggioranza. Per settimane il presidente della Repubblica ha commentato, avvertito, ingiunto. Niente. Quel nulla era il risultato della feroce determinazione di Silvio Berlusconi a tutelare il massimo possibile la sua ricandidatura. Berlusconi è un dichiarato avversario di Napolitano, e c’era da metterlo nel conto. Ma oggi è un amico che cambia tragitto, e quale amico! Perciò l’irritazione del Quirinale si è fatta via via più fitta, aperta, pubblica. E ieri, al concerto di Natale, Napolitano ha quasi perso la parola. I cronisti hanno adocchiato l’ormai consueto scambio di messaggi con il plenipotenziario berlusconiano Gianni Letta. Ma Letta, che da qualche mese vede sfiorire nell’indifferenza del capo il suo ruolo di consigliori prudente e avveduto, non era l’interlocutore giusto. Era a Milano Monti, in giro per la città, in una passeggiata dal netto sapore elettorale, fotografato col sorriso stampato in viso, e nella sequenza, anche con una brioche in bocca. Un leader in campo, più in campo di così non si è visto. Un leader che comunica, attraverso il Corriere della Sera (giornale del quale è stato commentatore), che rinuncia a ritornare alla Bocconi. Il tecnico si è fatto politico, e la passione ha vinto sull’insegnamento, la piazza è meglio dell’aula universitaria. Succede sempre ed è successo anche questa volta.
La parabola del “rospo”
Ricordate Lamberto Dini? Dalla Banca d’Italia al governo e poi sempre nei suoi paraggi, fino ad oggi in un altalenante e piuttosto penoso andirivieni tra centrodestra e centrosinistra (ora è con Berlusconi). Ma Dini, soprannominato il rospo, ha visto il suo fascino e il suo potere calare impietosamente, anno dopo anno. E quell’esempio, quell’esperienza è stata più volte ritenuta come il pericolo da non correre. In estate, si racconta, Monti ha avuto un faccia a faccia dai toni decisi col capo dello Stato. Aveva in mente di fare quel che poi è accaduto sabato sera: staccare la spina al suoi governo e correre in proprio, giocare la sua partita anticipando tutti i tempi. Allora Napolitano ebbe evidentemente la meglio, confermando una intesa che non è stata però sempre così piena. Questa volta invece tutto è saltato. Monti ha fatto di testa sua e al presidente della Repubblica è mancata la voce: “Parlerò tra otto giorni”, ha detto ieri.


da: Il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2012

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