Ghedini&Coppi, non c’era l’asso nella manica

Viene consegnato all’archivio, insieme alla sentenza passata in giudicato, anche il volto di Niccolò Ghedini, presidio permanente della difesa berlusconiana, incrocio spettacolare di un conflitto d’interessi limpido e oramai ventennale. Avvocato sì, ma deputato. Avvocato e poi oggi anche senatore. Dunque applicatore delle regole della difesa e insieme legislatore, ideatore delle tecniche della difesa e – per derivazione – dell’ostruzione, del rallentamento forzato delle udienze, delle eccezioni, dei mancamenti, e naturalmente dei legittimi impedimenti. Se l’epopea giudiziaria è parsa interminabile lo si deve anche a questo padovano liberale, proprietario terriero, teorico “dell’ingiusto processo”, dell’accanimento giudiziario, della persecuzione sistematica da parte della procura di Milano contro la figura, la storia e la politica di Berlusconi, oggi persino ex Cavaliere.

GHEDINI AVREBBE perso anche in caso di vittoria, di ribaltamento della sentenza. Perché all’ultimo miglio avanti a sé si è presentato un super principe del foro, Franco Coppi. È stato convocato a palazzo Grazioli come quegli allenatori chiamati a scongiurare la retrocessione della squadra di calcio. All’ultimo minuto utile, nell’istante vitale della battaglia finale, quando la Cassazione doveva infine pronunciarsi e risolvere il “pregiudizio” in un giudizio inappellabile, è comparsa la toga di Coppi, sono entrati in scena i corni portafortuna di Coppi, la tecnica performativa di Coppi, la conoscenza del codice di Coppi e soprattutto la sua propagandata prudenza, l’uso ponderato delle parole, la morigerazione e il tratto professorale così augusto e distaccato.
BEN SERVITO anche a lui. Nell’ora della sconfitta sono accomunati da uno stringato comunicato di resistenza: “Siamo sgomenti, ricorreremo alla Corte europea”. Ma si può gioire di questo? Ghedini non lo farebbe mai. Ha il suo stile che lo separa dalla truppa berlusconiana, un aplomb che lo distingue dalla caciara della base, un rigore che lo sistema fuori dall’alveo militare, quel circolo di attendenti che quotidianamente provvede alla trasmissione degli ordini. A chinare il capo, generalmente. Ghedini no. È il fulcro insostituibile intorno a cui ruota la giornata di Silvio. E infatti ci sarà una ragione se solo lui e Mariarosaria Rossi, più comunemente conosciuta come badante (attendente agli affari privati, alla logistica delicata, al tè delle cinque), sono stati fatti transitare dalla Camera al Senato per seguire il Dominus nella nuova ala del Parlamento. Nessun altro. La fidanzata Francesca Pascale non ha l’età. Dudù, il suo amatissimo cane, non è purtroppo eleggibile. Ghedini è uno che impartisce disposizioni, consiglia, corregge, elabora le strategie di attacco e di difesa. E per la verità è anche uno che incassa per il tempo che scorre, le conversazioni che tiene. “Io applico il massimo della tariffa professionale”, ha detto. E avrebbe anche pensieri distinti, e significative prese di posizione che ora, in concomitanza con la sentenza di condanna per frode fiscale, suonano a metà tra il paradosso e la provocazione: “Io sono per la diminuzione delle tasse. Ma se evadi, nessuna pietà: carcere”. In qualche modo i giudici hanno acconsentito. Nessun dubbio che il suo portafogli sia lievitato considerevolmente, che la sua carriera abbia progredito con un passo senza pari, stracciando negli anni la concorrenza prima di Pecorella e poi di Longo, il titolare del suo studio e affidatario della difesa penale del leader.
BISOGNA AGGIUNGERE che è ricco di famiglia: ha proprietà terriere in Toscana, produce un Brunello di Montalcino e poi mais. In garage, e senza l’aiuto di Berlusconi, ammira le sue auto d’epoca: la Packard convertibile è la preferita. In uno schieramento più vasto compaiono anche una Triumph Tr3 e una Aston Martin. Il lavoro, che è tanto e lo tiene lontano dalla passione, gli impone un ricorso sistemico alla fantasia, un ritrovo infantile del sorriso. Quand’è a casa, per non perdere tempo, sale in auto e marcia con la mente, a motore spento. Vrooom, vrooom. Gli bastano due, tre minuti ed è soddisfatto. Coitus interruptus in ragione degli assilli di questo cattivo tempo, degli impegni istituzionali che incombono: cioè la difesa del Capo. Il Parlamento è quindi una semplice piazzola di sosta e smistamento di bagagli, codici, leggine, norme, commi da infilare (spesso a nome altrui) nel processo costituente della produzione legislativa. E se per il professor Coppi ieri è stata probabilmente l’ultima volta ad affrontare l’uscio di casa Berlusconi (ci penseranno le rispettive segreterie a sistemare la parcella, magari alleggerita in ragione dell’esito infausto), per lui, il nostro simpatico Nosferatu, no. Ghedini, malgrado tutto, rimane con i codici aperti. “Mica i processi finiscono qui?”, ha ieri precisato. È vero, ha ragione. Attendono altri faldoni, altre arringhe, altri trasmissioni di atti. Ma è già nuvola in cielo, materia destinata alle retrovie, tema per specialisti. Tutto quello che è dovuto accadere è accaduto. Condanna in via definitiva. L’irreparabile è divenuto certo. Oggi non resta che piangere.

da: Il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2013

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