Togliete Twitter ad Angelino, uomo Sempre Altrove

È il ministro dell’Altrove. Se accade una cosa di là lui è di qua. E se la vede da vicino la racconta male, s’ingarbuglia, s’intrappola e alla fine si perde. Bisogna anzitutto togliergli Twitter. Sarebbe un atto di comprensione e l’avvio di un tentativo per la riduzione del danno che purtroppo Angelino Alfano si procura seguendo il suo istinto suicida. Com’è chiaro da quando ha scelto il logo del suo partito e quella sigla con assonanze straordinariamente pericolose (gli avranno nascosto la storia dell’Italia criminale e della Nco, con la quale Raffaele Cutolo, il super boss camorrista, spadroneggiava) Angelino ha l’aspetto di un girasole in autunno. Il corpo è indebolito e pendente e anche la mente singhiozza, e gli atti sono consequentia rerum. Ogni volta che accade qualcosa, lui è altrove. E non sarebbe nemmeno il peggio dei mali. Immaginate se, al tempo del sequestro da parte dei reparti speciali italiani della cittadina straniera Alma Shalabayeva, Angelino fosse stato avvertito. Avrebbe sicuramente twittato qualcosa, è pur sempre l’azione che gli riesce meglio. Non glielo dissero e lui spiegò con mestizia al Parlamento che il ministro dell’Interno non sapeva. E in Italia meno si sa e meglio si sta. E non sapeva neanche che Genny ‘a carogna, quando si impossessò dell’Olimpico e iniziò a trattare con lo Stato, fosse uomo o animale, maschio o femmina, capo tifoso oppure osservatore della Figc. L’avesse saputo avrebbe sicuramente twittato: con Genny neanche un caffé. Angelino vorrebbe dare il Daspo ai violenti. Il suo premier vorrebbe dare il Daspo ai politici ladroni. E questo è un altro tormento. Perché l’Ncd si è provvisoriamente trovato circondato da colleghi con frequentazioni opache, sospettati, indagati o peggio. Angelino che ne sa? Eppure s’è visto che cosa è successo. L’Ncd lambito dal crimine ha pagato nelle urne al punto che il vorace Renzi stava pensando di ridurre l’esposizione moderata nel governo di qualche unità. Sarebbe stata una vera tragedia. Un fatto è certo, purtroppo: da quando c’è Matteo lui non tocca palla, che nemmeno gli gira più intorno. Da qualche settimana Alfano sembra una statua di marmo. Non fa un passo. Non avanza né indietreggia. Fermo in mezzo al campo col Twitter in mano. Prova un clic per sentirsi vivo. E quando sbuca il suo pensiero dal nero in cui è piombato, apriti cielo! Con questo ultimo maledetto tweet ha indicato agli italiani l’assassino di Yara Gambirasio, lui proprio. Il ministro in persona personalmente, direbbe Camilleri.
DIMENTICANDO sia la grammatica istituzionale che non affida al Viminale gli interrogatori degli imputati che la presunzione d’innocenza, cavallo di battaglia che lo portò nel marzo dell’anno scorso a guidare, nel giubilo collettivo, la trasferta parlamentare di Forza Italia davanti al tribunale di Milano. Era Silvio il capo allora e tutto si spiega.
Infatti, in omaggio ai comuni destini, Angelino annunciò durante l’assemblea del suo partito col medesimo giubilo l’arresto in Libano di Marcello Dell’Utri, un suo vecchio amico. Perfetto, misurato, istituzionale come pochi e anche dalla memoria di ferro.
Aspettava quell’ora da anni, e non l’aveva detto a nessuno. Quando scattarono le manette a Dell’Utri lui zac, rubò un microfono e diede sfogo a tutta la rabbia che aveva in corpo. Finalmente in gabbia!
da: Il Fatto Quotidiano 18 giugno 2014

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