Salvini e la memoria corta dei lager di Gheddafi

Prima di terrorizzare gli italiani con la scabbia importata dai clandestini, ultima e degradante avvertenza dal sapore dichiaratamente razzista sottoscritta nientemeno che dal segretario leghista Matteo Salvini, alcuni noti politici europei come Iva Zanicchi avevano giustamente ricondotto il tema sul terreno del cabaret: “Con gli immigrati ci troveremo a far fronte anche all’Evola”. Era ebola, Iva. È vero, “Mare Nostrum” è un’operazione a perdere che non tutela la dignità degli uomini e non offre una soluzione alla tragedia umanitaria, una possibilità di vita decente a chi rischia di annegare pur di lasciare l’Africa. Ed è anche vero che l’Europa, qui Salvini ha ragione da vendere, non muove un dito. Come se fosse l’Italia a dover indennizzare il mondo per l’esplo sione della più antica e drammatica questione: la ciclopica emigrazione lungo la direttrice sud-nord pur di sfuggire alla morte.
SALVINI CI RIPETE che ai tempi del suo boss, ora fuori ruolo, Umberto Bossi, la questione clandestini fu governata e risolta. Dimentica lui e con lui questo Paese senza memoria in che modo fu risolta. E dimentichiamo tutti quanto costò in vite umane e in dollari fumanti quella deportazione di massa richiesta a Gheddafi. Era il 30 agosto del 2008 quando il premier Silvio Berlusconi si accordò con il dittatore libico per fermare l’avanzata clandestina prima che prendesse il mare al largo di Tripoli. Il governo italiano chiese di fermarli, appunto. Non si curò di avanzare alcuna altra richiesta. Non si curò, ad esempio, di pretendere che le zone di fermo e detenzione libiche fossero allineate ai minimi standard umanitari: trattarli cioè come esseri umani. Dargli da bere, da mangiare, un letto per dormire. Non violentare le donne, non dividere le famiglie, aiutare i bambini. Le cronache raccontarono, con testimonianze di seconda e terza mano, di violenze ripetute e inaudite, di stupri consumati, di coppie divise, e di un numero mai quantificato dei residenti in quei lager.
Non sappiamo quanti siano usciti vivi da lì e non sappiamo quanti siano invece morti. Non sapremo mai nulla. Sappiamo però quanto ci sono costati quei lager. Duecento milioni di dollari all’anno. Lo sa Salvini, vero? Il pizzo richiesto da Gheddafi fu di 5 miliardi di dollari sotto la dicitura “Indennizzi di guerra”. Somma che il governo s’impegnò a corrispondere al dittatore libico in 20 anni, con tranche di 200 milioni di dollari l’anno. Salvini ci ricorda solo che con la Lega al governo la questione immigrati si risolse. Nessuno o quasi entrò nel Belpaese. Tutto in ordine a Lampedusa, tutto in ordine a Crotone, tutto in ordine ai centri di accoglienza, i famigerati Cie, dislocati ovunque in Italia. È proprio così? Si dà il caso che in 11 anni (fine 1999 inizio 2011) si sia speso un miliardo di euro per far fronte alla crisi migratoria.
PIÙ DI CENTO MILIONI L’ANNO. Spesi prima dell’accordo con Gheddafi, durante l’accordo e dopo l’accordo. Salvini non ricorda, era piccino. Ma può chiedere a Bossi. Versavamo duecento milioni di dollari all’amico dittatore e 100 milioni di euro ai nostri amici italiani. Perché c’è un’altra verità: il costo di un immigrato, secondo il più recente e approfondito studio, curato dall’associazione “A buon diritto”, col contributo di Open Society Foundation, l’immigrato è grandemente variabile. Va dai 34 euro di Bari ai 75 euro di Modena. La media è di 45 euro al giorno. E Salvini sa in quali tasche vanno a finire questi soldi? Pochi centesimi in quelle degli immigrati. Molti euro in quelli degli italiani. Tra volontari, servizi mensa, servizi sicurezza e trasporto, logistica, eccetera (molte volte eccetera) le strutture a volte solo di nome misericordiose raccolgono un bel po’ di quattrini.
Anche gli immigrati danno lavoro. Ma la loro sfortuna fa la nostra fortuna. Dei 200 mila euro al giorno che spediamo (calcoli forse approssimati per difetto) due terzi vanno a imprese e singoli nostri concittadini. Giusto: se c’è lavoro c’è salario. Ed è certo che queste cifre significhino poco. Ma per quel poco che valgono sono utili a rimuovere l’ipocrisia, la cattiva coscienza se non la dabbenaggine con la quale affrontiamo una questione che sta divenendo, secondo lo standard nazionale, un altro esempio di florida espansione dell’industria dell’emergenza. Abbiamo speso moltissimo, spesso sperperato, in nome dell’umanità da salvare. Non siamo in grado di salvarla e magari vorremmo rivederla nei forni libici. A pagamento, s’intende. Occhio non vede, cuore non duole.

da: Il Fatto Quotidiano 22 giugno 2014

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