Gallipoli, la verità è fastidiosa? E allora ci vediamo in tribunale

Il sindaco di Gallipoli mi ha querelato perché ritiene che la sua città sia stata diffamata da una Istantanea che la definiva “martire” della cafonaggine. Martire, cioè vittima della cafoneria altrui, del fuggi fuggi di furbi di ogni risma verso abusi di ogni ordine e grado che nel tempo hanno reso l’estate una corrida, e quel luogo d’incanto una piattaforma esplosiva di odori, umori, rumori dentro cordoni di cemento espansivo.

Era un giudizio severo, sul quale naturalmente si poteva essere in disaccordo, ma fondato sulla verità non sulla manipolazione. Era e resta un’opinione critica, del tutto legittima e, a leggere i commenti e le adesioni che seguirono, anche piuttosto apprezzata.

Ma gli scritti quando non sono adulatori risultano antipatici. E invece di cercare nella realtà dei fatti la ragione della critica, si trasforma in fantasia la realtà, il giornalista in nemico, l’articolo in una pugnalata alle spalle.

E così la querela, strumento posto per difendere la verità dagli abusi, diviene essa stessa un abuso, una forma di intimidazione, una manifestazione pubblica di un potere irresponsabile. Chi è che valuta se la querela è temeraria o fondata? E chi pagherà se l’atto giudiziario dovesse rivelarsi non solo inefficace, ma palesemente abnorme, fuori dai confini della legge?

Si parla tanto di fake news, tantissimo di giornalisti “prezzolati” , “venduti”, “reggicoda” e via dicendo, tanto ciascuno ha in tasca l’insulto appropriato.

Poco, troppo poco, di questa pratica che pretende le opinioni controllate, devitalizzate, gustose ed espettorabili come chewing gum.

I fatti sono fatti.

Arrivederci in tribunale.

da: ilfattoquotidiano.it

“La Curia non dimentica Arriverà un anti-Francesco”

Sesso, soldi e sangue. Delle tre esse che i maestri di giornalismo del Novecento indicavano come fattore propulsivo per ogni avventura editoriale, almeno due –sesso e soldi– sono le questioni che tengono inchiodata la Chiesa alla sua coscienza periclitante, alla verità ufficiale esausta e precaria, alla miseria di parte del suo clero, ai veleni dei suoi corvi.

Vito Mancuso è il teologo italiano che con più nettezza e severità osserva e indaga la realtà cattolica.

La salvezza della Chiesa passa dalle donne, dalla energia che esse custodiscono e non sono messe in condizione di liberare, e dall’abolizione del voto di castità, che oramai è insostenibile. Si pensava che Papa Francesco potesse salvare la Chiesa. Era attesa la palingenesi e grande fu l’ammirazione per il sovvertimento anche simbolico: anzitutto la scelta di chiamarsi Francesco, il rifiuto di indossare i paramenti papali, di dormire nel vistoso appartamento a lui destinato, di viaggiare nelle berline da capo di Stato. L’attesa si è gonfiata di speranza, la speranza è stavita poi dalla suggestione. Infine, il principio di realtà è prevalso.

Abbiamo lasciato Ratzinger con i corvi che volteggiavano, troviamo Bergoglio avvelenato dalle accuse di monsignor Viganò. Uno scandalo eterno.  

Eravamo abituati a un Papa che non aveva necessità di precisazioni, mezze ammissioni e mezze marce indietro. Ora, 5 anni dopo, l’effetto rinculo. Francesco non mostra più di avere la forza di liberare la Chiesa dal suo male: una gerarchia egocentrica e dalla potenza straripante, un clero che sta seppellendo la sua missione tra mille porcherie.

Il Papa non piace più?  Continue reading

La nomina di Dino Giarrusso e quella scandalosa ipocrisia

Enormi afflizioni si leggono per la nomina di Dino Giarrusso, giornalista, ex Iena, a un improbabile comitato di controllo dei taroccamenti dei concorsi universitari. Se c’è un fatto acclarato, documentato e definitivo è che all’università il concorso misura la conoscenza col Prof, il sapere viene declinato nella relazione, buona o cattiva, che il Prof custodisce con gli altri membri della commissione esaminatrice, e il talento, in definitiva, resta un optional. Decine e decine di inchieste e anche di arresti, l’indicazione di baroni e baronie non hanno intaccato di un millimetro il principio di realtà. Come era, è. Un’offesa incalcolabile alla giustizia e al principio di uguaglianza di fronte alla quale nulla è stato fatto. Nulla. Semplicemente perché nulla sembrerebbe possibile fare.

Ora io chiedo: è scandalosa la nomina a uno scranno che non esiste, per un incarico che non esiste, come pure il proponente, il sottosegretario dell’Istruzione, ha dovuto ammettere quando ha illustrato il senso del mandato? Giarrusso, credo, leggerà gli esposti che ritraggono situazioni truffaldine e che arrivano copiosi agli uffici ministeriali. Dopo di che? Li manderà in Procura credo.Ma non è Giarrusso che giudicherà i candidati a un posto di ricercatore, non sarà lui a decidere le qualità scientifiche dell’uno invece che dell’altro. E semmai la critica, doverosa e inoppugnabile, sarebbe stata un’altra: la scelta di un giornalista che ha fatto parte di una trasmissione popolare d’inchiesta (con alcune vistose sbandate, c’è da aggiungere) resta propaganda, rispetto al problema irresolubile di ripulire l’Università, per quel che si può, dalle clientele. Urlare allo scandalo dell’incompetenza al potere, anzi dell’inconsistenza al potere, ironizzare, fare del sarcasmo contro questa pseudo nomina è la prova regina che la luna è là che aspetta il tempo in cui noi decideremo finalmente di guardarla, perché non ne può più neanche lei di vedere indicato solo e sempre il dito.

da: ilfattoquotidiano.it

Giorgetti evoca la chiusura della ditta? Appare una mossa di ingegneria finanziaria

Con le parole si può costruire un mondo nuovo, dire di sofferenze e gioie, spiegare, o anche tacere, e persino confondere, simulare. Ieri Giancarlo Giorgetti l’uomo che cuce le relazioni di potere leghiste e le tiene coperte, ha rivelato nella bella Confessione a Peter Gomez, durante la Festa del Fatto Quotidiano, che se i giudici decideranno di confermare il sequestro dei soldi che il movimento ha abusivamente detenuto, i milioni di euro (molti dei quali spesi, sic!) utilizzati al di fuori delle regole e della legge, il Carroccio sarà costretto a chiudere bottega.

Quel che Giorgetti ha taciuto, e che noi seguendo il suggerimento di Giulio Andreotti (“a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca”) immaginiamo invece, è che la chiusura della ditta risponda a una triste e conosciuta strategia di ingegneria finanziaria.

La Lega ha le casse sfondate, quindi inservibile. Metterla in liquidazione, magari dando la colpa ai giudici, è il miglior modo per sottrarsi alle responsabilità di aver partecipato in qualche modo all’utilizzo illegale dei fondi. Farla divenire una bad company e trarre da questa operazione, che in Italia ha antichi maestri, il profitto politico necessario. Presentare alle prossime europee un simbolo nuovo di zecca, senza debiti e soprattutto senza memoria. Un partito nuovo, per un centrodestra nuovo, con un leader nuovo di zecca: Matteo Salvini.

E chi si è visto, si è visto.

da: ilfattoquotidiano.it