Rosi Bindi: “Chiudo con la politica, 23 anni sono abbastanza”

rosy-bindiOgni cosa che ha inizio poi finisce.

Ho lavorato in questo Palazzo per ventitré anni, e prima ancora altri cinque a Strasburgo. La passione mi ha tenuta viva e integra. Fare politica non è un mestiere, ed è impossibile servirla senza quel fuoco che arde. Finita questa legislatura lascerò il campo.

In pochi riescono a smettere. In genere attendono che gli elettori indichino la porta.

La vita è più e meglio di ciò che facciamo, per quanto onorevole e gratificante. Vorrei dedicarmi agli studi, tornare al mio vecchio amore per la teologia. E poi viaggiare un po’. Come dice Romano Prodi, finora sono stata in tutti gli aeroporti del mondo. Ho girato tanto ma visto poco. Lasciare è sempre traumatico, e i primi mesi possono far male. Ma non mi ritirerò a vita privata. Maria Eletta Martini e Tina Anselmi finché hanno potuto si sono impegnate. E io vedo un gran bisogno di formazione alla politica e di ricostruzione delle reti associative.

Rosy Bindi sbucò dalla pancia della Dc, allora una enorme Balena bianca presidiata da maschi alfa, alla fine degli anni ottanta. Con tangentopoli iniziò a martellare il suo partito per via della moralità piuttosto difettosa. Più martellava e più saliva di rango. Ventisette anni da parlamentare, due volte ministro, poi presidente del Pd. Ha 66 anni e il carattere di un felino: conciliante se concili, altrimenti sono graffi. Prodiana integralista, ha accumulato molte simpatie e altrettante antipatie.

Lei è geneticamente antirenziana, ma ha trascorso in un regime di semi clausura gli ultimi quattro anni. Osservatrice muta.

Ho parlato quando dovevo. Per prima ho guardato con preoccupazione l’ascesa di Renzi. Si era al tempo della sua candidatura a sindaco di Firenze e già dissi la mia. Sono stata tra i pochi ad essere contraria alla decisione di Bersani di modificare lo statuto per permettergli di candidarsi alla presidenza del Consiglio. E infine sono stata chiara e limpida a sostenere che il referendum sulla Costituzione fosse incostituzionale. Non s’era mai visto che – invece della minoranza – lo promuovesse la maggioranza e addirittura il governo.

Ai tempi d’oro Rosy Bindi non avrebbe fatto passare un’ora senza un commento o una presa di posizione.

Ho scelto di esercitare il mio ruolo istituzionale di presidente della commissione Antimafia. Durante la campagna referendaria ho sofferto molto nel vedere le istituzioni che si schieravano e diventavano un elemento di divisione. Per me è stato un sacrificio non entrare nella mischia. Ma ho pensato che fosse il servizio più importante al Paese e alla Costituzione. In questi anni ho concentrato le mie energie a far lavorare bene la commissione nel contrasto alle mafie e alla corruzione che deve diventare una priorità.

Mentre era a San Macuto il Pd si sfasciava.Continue reading

Vita da 5 Stelle in grisaglia. Tutti a scuola zitti e buoni

casaleggioRobotizzati per un giorno. La tecnica di sparare i cinquestelle nel futuro prossimo, tra esoscheletri e terabyte, è stata una prova tutto sommato riuscita. Prenderli in gruppo, portarli ad Ivrea nell’officina H di Adriano Olivetti, il luogo dove il loro progenitore visionario Gianroberto Casaleggio muoveva i primi passi con i microchip. Obbligarli al silenzio, a misurare la distanza che separa la loro ignoranza dalla sapienza che una classe dirigente deve possedere, è in assoluto il più fantastico, per alcuni versi eccentrico, per altri inedito e assai utile esperimento di verifica delle competenze.

Il Mao del movimento è la Casaleggio Associati, azienda politica, tecnicamente una srl, che ha assunto il compito di alfabetizzare e guidare gli eletti verso il Sol dell’avvenire. Max Bugani, esponente dell’ortodossia e custode della piattaforma telematica Rousseau, il sistema di connessione del sapere collettivo, conferma: “Noi facciamo un’attività di tutoraggio, un modo per aprire il movimento ai temi che ci stanno a cuore, prepararlo al governo del Paese nel tempo della più imponente trasformazione. Il nostro è insieme uno sforzo per irrobustire le gambe naturalmente gracili, agevolare gli eletti ad essere sempre più consapevoli della responsabilità che ci aspetta. Il vento soffia impetuoso nelle nostre vele, noi dobbiamo prepararci a metterlo a frutto”.

CINQUE STELLE in grisaglia. Non una bandiera o un principio di caciara, zero fanatismi, zero chiasso in sala, occupata da più di mille sedie. Una convention di serie A, una specie di studio Ambrosetti applicato alla politica. Il lavoro di domani che manca, le diseguaglianze che crescono, le virtù della rete, la forza della tecnologia, la crisi di fiducia, le speranze della medicina, le virtù degli algoritmi. Davide, figlio di Gianroberto, ma molto più legnoso del padre, ha messo a frutto le relazioni – prima solo private ora anche pubbliche – e la forza del potere aziendale e insieme politico che in questi anni ha costruito. Ma se quello di Silvio Berlusconi si definiva un partito- azienda, questo cos’è? “La differenza è enorme – dice il sociologo Domenico De Masi – Il primo aveva, ancora ha, un partito al servizio della propria azienda, un partito che finanziava completamente. L’obiettivo era la tutela del mondo di Mediaset. Il secondo ha l’ambizione di cambiare il mondo e il movimento non ha necessità di danari, di sezioni, di luoghi fisici. Gli è bastato una piattaforma di internet per fare la rivoluzione. Vedrete che i partiti emuleranno: presto si trasformeranno anch’essi in movimenti e useranno la rete in modo professionale”.

Luci blu, fondale nero, pile di fogli con i pensieri di Gianroberto, cravatte nelle file principali, capi azienda e curiosi, giovani e anziani in fila, composti e vogliosi di capire dove giungerà la robotica, chi sfiderà i colossi del farmaco, come si soppianterà la chemioterapia, cosa ci diranno gli algoritmi, come decrescerà la nostra fatica. Se saremo più ricchi o più poveri, più felici o meno. Sum, voce del verbo essere. Io sono chi? Ma soprattutto cos’è la rete, qual è il potere che resterà nelle nostre mani dalla conoscenza istantanea che Google (il cui amministratore delegato per l’Italia, Fabio Vaccarono, ha tenuto uno dei primi report) oramai monopolizza? Finalmente si nota la senatrice Taverna prendere appunti, e la Lombardi fare “shhhh”, silenzio. E Di Battista meno ipercinetico del solito (“Leopolda questa? Se lo dite vi querelo, ma avete visto cosa c’è?”), e le due sindache più note (Appendino e Raggi) rilassate, Grillo devoto e silente. I Cinque Stelle in grisaglia fanno un altro effetto. E il bravo presentatore si chiama Gianluigi Nuzzi, giornalista televisivo, e i tempi sono perfetti, i congiuntivi anche, il clima molto professionale, il servizio d’ordine impeccabile, le hostess solerti. Tra gli ospiti molti i giornalisti (anche Marco Travaglio tra i relatori) ma soprattutto televisivi (Enrico Mentana, anzitutto). La tv entra in ogni casa, come internet. I giornali di carta invece no.

È IL MOVIMENTO che si fa azienda? O è invece la Casaleggio che coopta e tenta di imporre il codice di comportamento, un nuovo alfabeto? “Io sono venuto qua mandato dai miei dirigenti ad ascoltare e capire quali sono le idee loro, sappiamo che hanno alte possibilità di andare al governo. Devo dire la verità: questo modo di fare ci piace molto”, sostiene Marco, “il cognome non lo dico per la privacy”. I cinque stelle di domani come quella pubblicità che faceva: piace alla gente che piace.

Da: Il Fatto Quotidiano, 9 aprile 2017

ALFABETO – ANDREA MARSAN: “I cinghiali in città? Meno spazzatura e tornano tra i monti”

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A Genova qualche giorno fa un cinghiale è riuscito a tuffarsi a mare e dopo qualche bracciata ha fatto ritorno tra i suoi monti. L’animale, finora coccolato soprattutto dai cacciatori che lo impallinano e poi lo gustano a tavola, non è nuovo a fughe in avanti. Negli ultimi tempi ha però fatto irruzione nelle nostre periferie con insolita frequenza producendo, come effetto collaterale, una nuova nevrosi da ingombro animale.

Daini, lepri, volpi, caprioli, naturalmente cinghiali, qualche lupo, anche qualche cervo. Gli avvistamenti si susseguono e con loro una nuova tipologia di stato d’ansia. Vuoi vedere che? Andrea Marsan, zoologo genovese e studioso appassionato di questo quadrupede, è il più titolato ad avanzare un’analisi logica della questione.

“Il cinghiale è un onnivoro. È un ghiottissimo fruitore della nostra ricchezza infinita che esonda nei rifiuti e fotografa la cultura della società dei consumi. Viene in città perché la campagna è spopolata e abbandonata, giunge da noi perché trova cibo. Se usassimo maggiore accortezza nella gestione dell’immondizia e nella relazione tra città e campagna la questione non si porrebbe”.

Il cinghiale è bello grosso.

Se s’incazza, perché teme un pericolo, ci fa anche male. Anche se nella scala del pericolo io metterei prima gabbiani e cornacchie. Sono veramente cattivi quelli.

Cinghiali a Roma, cinghiali a Genova.

Stupore, eh? Non c’è nulla di cui stupirsi invece. Il cinghiale si avvista in città come Genova ma anche a Barcellona e Berlino dove c’è continuità tra bosco e periferia. Dove non c’è rottura è più naturale che l’animale che ha fame, come un letto di fiume in piena, straripi un p o’. Succede sempre più spesso, ma è un fenomeno che vive soprattutto in primavera quando le campagne hanno terminato di offrire loro ghiande e castagne.

Fino a ieri il lupo lo teneva a bada.

L’equilibrio della natura è formidabile e il lupo provvedeva alla selezione naturale.

Quanti ne beccava a settimana?

Non saprei dirle con certezza. Il lupo predilige i cinghiali baby, o azzanna quelli adulti ma feriti o ancora si fa lupo quando la preda è in vecchiaia avanzata, deboluccia e arrendevole. Il lupo deve misurare le proprie forze e sa che un conflitto con un cinghiale in armi, giovane e robusto, lo vedrebbe sconfitto.

Abbiamo ripopolato troppo? Siamo stati permissivi?

Beh, in qualche caso siamo stati distratti e non abbiamo calcolato la prolificità di questo animale che riesce a triplicarsi in una sola annata. Ma più che contenere le nascite, e quindi dar luogo all’eliminazione per via cruenta, bisogna avere fiducia e lasciar fare alla natura. L’equilibrio naturale della selezione è la via maestra. Considerare poi che le campagne incolte producono, come effetto collaterale, questa mini invasione e capire che lo spopolamento produce enormi questioni, vitali per la società del benessere. Ricordi che l’uomo ha impiegato dodicimila anni per rendere domestico l’animale più aggressivo. Dal lupo è nato il cane; dal cinghiale il maiale.Continue reading

MATTARELLA, LA POLITICA SVUOTA LE SALE

Il Salone del mobile di Milano è la principale mostra del made in Italy, la rassegna annuale dei capitani d’industria, il centro di gravità permanente del capitalismo italiano. È un appuntamento così importante che i rappresentanti delle Istituzioni non mancano mai di presenziare. È sempre stato così. Mai però, fino all’altroieri, era accaduto che il presidente della Repubblica fosse accolto in una sala con larghi spazi vuoti. Alcuni secondi di un video del Corriere.it documentano questa imprevista defaillance che le compensazioni e i tagli delle foto ufficiali erano riuscite a evitare di esibire.

NON PENSO CHE sia stato un atto di disistima per l’oratoria di Sergio Mattarella, pur nota per non essere particolarmente coinvolgente, o una scortesia personale o ancora una contestazione per l’ufficio che rappresenta. Quel vuoto – semplicemente e drammaticamente – denuncia l’irrilevanza della politica rispetto agli interessi di chi avrebbe dovuto essere lì, in questo caso gli industriali. L’irrilevanza confina con quel senso di estraneità che oggi colpisce, in un modo altrettanto imprevisto, Matteo Renzi, l’uomo del futuro già passato, dell’oggi improvvisamente divenuto ieri. Il premier, ora ex, che è costretto a ripetere oggi la promessa non mantenuta di ieri: “Questa volta se perdo lascio per davvero”. Per davvero e non per finta, dunque. I mille giorni del renzismo sanno già di muffa e di bugia, e la sua filiazione governativa, con Paolo Gentiloni mandato al periclitante ponte di comando, appare come la milizia dei caschi bianchi dell’Onu: esercito senza bandiere, esecutivo senza popolo e senza scopo. La velocità con cui mangiamo il nuovo, lo digeriamo e infine lo espelliamo va di pari passo con l’approssimazione con la quale selezioniamo questo nuovo. Un profetico Giovanni Sartori, la cui scomparsa è stata giustamente salutata come la perdita di un maestro nell’insegnamento rigoroso della scienza della politica, dieci anni fa – era il 18 settembre 2007 – in un editoriale titolato “La terra trema sotto la Casta” – prevedeva quel che poi sarebbe accaduto. L’enorme successo del “grillismo” come un “colpo di vento contro i miasmi della politica” irriducibilmente conservativa, chiusa agli alieni, in questo caso gli elettori, e sorda a ogni richiesta di cambiamento.

NEGLI ANNI, questa parola – cambiamento – si è fatta largo fino a espandersi nelle pieghe più nascoste della società e a mutare di senso. Da aspirazione politica a bisogno istantaneo. Cambiare è divenuta un’ansia da prestazione. Cosicché gli industriali del mobile, quegli stessi che due giorni fa hanno disertato per scoramento l’intervento del capo dello Stato, avevano applaudito per vent’anni Silvio Berlusconi, e si sono arresi dal venerarlo solo quando il Cavaliere ha trasferito il suo potere alle gonne delle olgettine. Gli sono poi bastati invece tre anni per mandare in soffitta Matteo Renzi e ora, come spiegava bene uno di essi, avanti un altro.

Da: Il Fatto Quotidiano, 6 aprile 2017

Scala Santa: tu vieni e preghi, tanto paga Acea

Come lo Stato, che accoglie i mecenati pur di vedere le sue bellezze rimesse a nuovo, anche il Vaticano cura il lifting fatturando i bonifici delle imprese. Mai però la pubblicità che – direbbe Mike Bongiorno – è pur sempre il sale della vita, era giunta così vicina al cuore di Gesù, dentro l’enorme mistero che la fede procura.

E SARÀ SEGNO anche questo della provvidenza divina che tutto guarda e tutto governa. Sono dettagli terreni ma anche i soldi hanno il loro quid. E rifare la facciata situata accanto alla Basilica di San Giovanni in Laterano, nell’edificio che Sisto V fece edificare per conservare la cappella privata dei Papi, il Sancta Sanctorum, ha il suo costo. E quindi via con la pubblicità. Tu vieni e preghi e lui, anzi lei, cioè Acea, paga. La soluzione ha davvero le sue convenienze ma pure, come tutte le questioni, un che di spiritualmente irrisolto. La Chiesa di Francesco, votata all’umiltà, a tornare povera tra i poveri, vicina a chi ha sete e fame, con il cuore dentro il flagello delle ingiustizie, delle guerre, della peste della cattiveria umana, ha pur sempre da fare i conti con la realtà: la sua imponente proprietà fondiaria, non solo chiese e campanili, ma palazzi di ogni sorta e taglio, hanno periodiche necessità di manutenzioni. Evitiamo qui di annotare gli effetti collaterali di tanto benessere immobiliare che tanti crucci ha dato a Francesco. La questione, anzi la domanda, ora è questa: dopo l’Acea verrà – per par condicio – anche il turno della Coca Cola? E –raggiunta la Scala Santa – quand’è che lo sponsor entrerà a San Pietro?

Da: Il Fatto Quotidiano, 4 aprile 2017

Renzo Arbore: “Gli artisti badano ai soldi, le zucche vuote evitano di schierarsi”

renzo-arboreL’artista è inseguito dal l’ombra della sua ansia che gli tiene compagnia ogni giorno. L’artista è una persona differente fra tutti gli umani: ha una vocina che ogni giorno gli spiega il bene e il male della vita, ciò che deve fare e ciò che non può fare. Se deve parlare oppure se non può parlare. Quanti soldi deve chiedere, quanti ne deve rifiutare.

Renzo Arbore, la vita dell’artista è un inferno.

È un’ansia continua. Sono convinto per esempio che l’ansia, il sipario che si apre e si chiude, abbia condotto Domenico Modugno prima alla malattia e poi alla morte. Ma senza ansia non c’è arte.

L’artista se può non vede e non sente. Soprattutto non parla. Si fa intervistare solo se ha un disco da lanciare, un film da promuovere, uno spettacolo al quale invitare ad accorrere.

I silenti sono tanti nel mondo dello spettacolo. È il manager che comanda e contratta. O la casa discografica che decide e annota: tu farai il disco a dicembre e prima di dicembre è meglio avere la bocca cucita.

Poi arriva il disco, il film e le ospitate. È il cachet che traccia la linea.

Ospitate teleguidate. Il cantante arriva, ma la scaletta musicale del suo ultimo cd da affidare alle radio è decisa dalla sua etichetta. Il dj, il povero ospitante, ha solo il compito di seguire la linea verticale dell’azione manageriale.

L’artista, che è ricco di suo, impazzisce per i soldi.

C’è molta attenzione per i soldi. I soldi fanno bene e anch’io me ne accorgo. Ma sono vent’anni che mi chiedo: poi i soldi dove me li porto? Meglio, molto meglio per me, avere la possibilità di fare quel che mi piace.

E quando accade, come adesso sta succedendo alla Rai, che il cachet dimagrisca l’artista s’indigna e protesta.

Queste sono sceneggiate promosse dai manager. I manager sono dei negoziatori di altissimo livello e usano la tattica del rifiuto pro tempore. Un negoziato subisce tira e molla e complicate triangolazioni: si vende l’artista da solo, oppure in coppia con un altro più sfigato. È un pacchetto dono. Il mercato detta le regole dell’ingaggio, ma se il manager è un talentuoso allora anche il mercato va a farsi friggere.Continue reading

BASILICATA: L’Eni offre miliardi e lavoro se la Lucania si beve i veleni

scheda-basilicataSoldi contro sorrisi. L’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi ha un piano per rendere il petrolio un digeribile amaro lucano. Due ma anche “tre, quattro o cinque miliardi di euro” da portare laggiù, tra la val d’Agri e il Basento, reclutare il doppio – “persino il triplo”– della forza lavoro attuale e conquistare – a suon di bigliettoni – la felicità degli indigeni, la concordia dei riottosi, la disponibilità di chi protesta. Descalzi, nuovo mister Simpatia, ieri ha annunciato la sua diretta entrata in campo, da qui a qualche settimana – ha infatti dichiarato – “ci concentreremo per investire nel consenso” sperando che la pecunia, in quantità rispettabile, serva a far fare amicizia con il petrolio e la Basilicata che ora si costerna, s’indigna e si impegna, ripercorrendo le strofe di De André (ricordate Don Raffaè?) alla fine “getta la spugna con gran dignità”.

VIVA LA SINCERITÀ. E Descalzi con la dichiarazione resa l’altroieri a Ravenna è stato esemplare: “Non investo se ogni giorno ci sono attacchi”. Enrico Mattei tracciò il solco e Descalzi opportunamente lo segue. In questo meraviglioso road show, il porta a porta lucano che a maggio impegnerà l’amministratore delegato dell’Eni, bisognerà trovare una sintesi tra le cattive notizie e quelle buone e fissare un punto d’incontro tra le paure per le 13 mila tonnellate di azoto che volteggiano nei cieli della Val d’Agri, il rinomato Texas d’Italia, e la ghiottoneria di un nuovo incubatore per imprese, tanti centri di ricerca, e sostegno alle aziende locali, alle famiglie, ai giovani studenti, alle mamme e forse anche ai nonni. Quando nelle settimane scorse l’invaso del Pertusillo, che porta l’acqua nelle case di Basilicata e Puglia, si è tinto di marrone per una enorme e improvvisa fioritura di alghe, è parso alle autorità sanitarie che nulla di sconcio fosse accaduto. Eppure l’acqua era imbevibile, il colore inquietante, e il sospetto che il petrolio fosse la causa si è fatto ogni giorno più forte, convinto, largo. I camini del Cova, il centro oli di Viaggiano, sono ubicati sopravento rispetto all’invaso che dista meno di due chilometri. E i fumi da estrazione, le migliaia di tonnellate di ossido di azoto, possono favorire l’eutrofizzazione delle acque.

Dal momento che la realtà supera la fantasia, i primi a essere posti sotto accusa sono stati i pastori e i contadini, colpevoli di concimare troppo e allagare loro di veleno le falde. Naturalmente gli accusati si sono arrabbiati e non poco, ed è stato un altro guaio per la campagna di simpatia per l’Eni. Che si è interrotta quando perfino la Regione Basilicata, sempre prudente e sempre comprensiva, ha stilato una diffida intimando la revisione di quattro serbatoi. Il fondo perde, la falla c’è, la lamiera è corrosa. Lo sversamento dei liquami è stato tale che hanno trovato idrocarburi nel terreno fino a una profondità di dieci metri, e ancora le autobotti sono impegnate a succhiare lo sporco. L’Eni si è difesa consegnando una memoria al Tar. Ma la ragione e la logica hanno voluto la loro parte. Prima l’acqua tinta di marrone, poi la notizia, anzi la formalizzazione ufficiale, dei serbatoi forati o solo difettosi o comunque non a norma. E in mezzo le continue e paurose fiammate che spaventano a morte gli abitanti di Viggiano e Grumento Nuova, i paesi che custodiscono la ricchezza e la disgrazia. E nel tempo incidenti a ripetizione. Negli anni il ritrovamento di idrocarburi nell’analisi delle acque dell’invaso del Pertusillo, e poi 3.000 litri di petrolio versati in un canale collegato al fiume Agri, o Viggiano-Taranto in Val Basento.Continue reading

Il saggista Isaia Sales: Gli inchini di madre Chiesa al potere dei mafiosi

isaia-salesLA STORIA della Chiesa e il suo vizio capitale è di aver avuto sempre con il potere una fede incrollabile e portentosa, di avergli portato ossequio pur di ottenere ossequio. Nel Mezzogiorno – dove il bastone del comando è spesso nelle mani di famiglie, clan, ‘ndrine, guappi di ogni ordine e grado – i pastori di anime accettano di osservare muti le gesta anche feroci dei capi. Non c’è santino, Madonna in lacrima, Cristo in croce che ogni capo clan che si rispetti non porti con sé, soprattutto quando la latitanza impone una solitudine senza misura e confine. Dietro ogni pistola c’è un’anima dunque e la Chiesa ha sempre avuto un ruolo di comprensiva mediazione, quando non proprio di connivenza, con le vite più difficili del suo enorme gregge. Nella nuova edizione dei “I preti e i mafiosi”, Isaia Sales consegna il quadro allarmato della subalternità culturale, la proiezione sociale spesso malavitosa della fede religiosa, la coltre densa dell’omertà che troppe parrocchie hanno praticato. Naturalmente i tanti esempi di preti coraggio non sono neanche in discussione. Ma non essendo possibile alcuna compensazione, resta la realtà nuda di una storia del crimine organizzato ma anche devoto, feroce ma anche lacrimoso, indiscutibile ma anche contrito.

da: Il Fatto Quotidiano, 29 marzo 2017

Vincenzo Visco: “Siamo vecchi, ma meglio di questi incompetenti”

vincenzo-viscoE chi se ne fotte se siamo vecchi! Questi giovani dinamici, gioviali e a la page sono degli incompetenti. Non solo non combinano nulla ma fanno disastri”. Vincenzo Visco, 75 anni ottimamente portati anche grazie alla palestra, è un altro dei compagni che hanno salutato Matteo Renzi. Bravo a far di conto (di lui D’Alema disse: “Riempie le casse ma svuota le urne”), meno forte con le relazioni esterne. Ai tempi di Berlusconi fu noto al grande pubblico col nome di Dracula, per l’attenzione, da vero anti-italiano, con cui studiava la dichiarazione dei redditi dei ricchi. Nella new economy renziana è risultato un impolverato e algido professore e quindi è stato messo da parte. Visco si è poi auto-rottamato salutando il Pd.

Azzardi un pronostico per Renzi.

Il Pd ora è al 20% o giù di lì ed è destinato a implodere.

Voi scissionisti invece?

Con Pisapia e le altre isole di sinistra stiamo al 10% e possiamo arrivare al 15%.

Ma sapete di vecchio, di rosso antico.

Ma chi se ne fotte della vecchiaia! Cosa ci posso far io se questi hanno rovinato la sinistra e creato le premesse per l’inizio di una deriva a coloriture fascistoidi dell’Italia.

Il popolo affamato che impaurito e pieno d’ira invoca lo spirito del manganello.

Ci sono due modi per governare: la sinistra mette al centro la società e le dinamiche sociali. La destra l’individuo. Renzi, inconsapevolmente o no (temo più a sua insaputa) ha spostato l’asse della sua politica dalla gestione e dal governo delle dinamiche sociali ai problemi dei singoli, dell’individuo. E il baricentro del Pd è andato a farsi friggere. Le parole d’ordine sono rimaste di sinistra, ma la pratica quotidiana e legislativa è andata a intersecare le grandi aspettative di ceti sociali conservatori e destrorsi.

Si spieghi meglio…

C’è l’impresa, ci sono i lavoratori. Se l’attenzione del governo si sposta dalla condizione del lavoro a quella dell’impresa, immaginando che si debba favorire l’imprenditore e non il lavoratore perché il secondo fatica solo mentre il primo crea lavoro, lo spostamento politico e concettuale è completo. Porti la sinistra verso destra.

Renzi ha portato a destra la sinistra.

L’ha portata al punto che il suo partito, diamogli ancora un altro po’ di tempo, si scomporrà e tutto ritornerà al giusto punto d’origine.

Il Pd morrà?Continue reading

ALFABETO – FRANCESCO GIAVAZZI: “Confindustria è inutile, andrebbe chiusa subito”

francesco-giavazziFrancesco Giavazzi è il contapassi di ogni governo in carica. Per mestiere insegna, è un economista di valore e ha cattedra alla Bocconi. Per piacere, scrive. Libri e soprattutto gli editoriali che da anni riversa alla tipografia di via Solferino per la prima pagina del Corriere della Sera. Teorico del mercato, è un combattente della prima ora contro lo Stato predone. Liberista puntiglioso, non alza mai la bandiera bianca della sconfitta. Le sue idee sono chiare, i suoi nemici pure.

I giornali che legge?

Non leggo i giornali.

Non legge il “Corriere” su cui scrive?

Mi piace il Foglio, lo sento moderno e soprattutto agile. Sul Corriere invece dò un’occhiata agli editoriali. I giornali che hanno molte pagine mi mettono ansia: non ha senso sfornarli in quella dimensione. Dei fatti che accadono nel mondo sappiamo ogni cosa prima di raggiungere l’edicola. Quindi, perché leggerli?

Noi non ci stanchiamo di leggere lei invece. Dice che il mercato è l’unico rimedio contro la povertà, il liberismo l’unica medicina che ripara dalle diseguaglianze. Più impresa e meno stato. Siamo nel pieno dello scandalo che ha coinvolto il “Sole 24 Ore”, il giornale della Confindustria. Professore, se l’impresa è quella…

E lo dice a me? Guardi che per tempo dissi che il Sole non poteva avere quella proprietà. Fosse per me chiuderei Confindustria.

Come dice?

La chiuderei, completamente inutile. Osservazioni che magari non sono piaciute. Del resto una prova è che io non sia stato mai invitato al meeting di Ambrosetti.

Mai andato sul lago di Como? Il meglio dell’impresa, del pensiero economico, il crocevia dei leader.

In verità fui invitato quando lavoravo al ministero del Tesoro, anni fa, insieme a Draghi. Non mi fu possibile partecipare. Poi ho avuto modo di dire che è veramente incredibile che un imprenditore per essere lì debba pagare trentamila euro. Soldi spesi malissimo. Magari applaudirei se li investisse a solcare il mare con un bel veliero, ma darli ad Ambrosetti. Suvvia!

Lei i nemici li convoca in comitiva. Eppure sa che si dice? Che le sue prediche sono fuori tempo, il suo liberismo è fuori scala, e quando ha voluto mettere in pratica le sue lezioni di economia, Mario Monti – suo collega bocconiano allora premier, rifiutò di accoglierle.

Keynes diceva che le buone idee hanno gambe forti e hanno bisogno di tempo per vedere il successo. Saranno i nostri figli, i nostri nipoti a giudicare.

La crisi economica non finisce più, l’austerità ha ridotto gli Stati a stamberghe eppure nulla è cambiato.Continue reading