I fondi del terremoto per l’abuso edilizio

MARCO MORELLO

Almeno non la si potrà accusare di non avere fatto galoppare l’immaginazione. Perché c’è qualcosa di tragicamente geniale nella trovata della proprietaria di un terreno lungo la costiera amalfitana che, solleticando l’ingordigia di otto professionisti e impiegati comunali, ha ricevuto il placet per costruirsi un bell’appartamentino di 140 metri quadri ai danni dello Stato. La “signora”, per reperire i soldi necessari allo scopo, anziché ricorrere a un mutuo o vendere qualche Bot come fanno tutti, ha infatti avuto modo di attingere ai fondi pubblici per la ricostruzione stanziati dopo il terremoto dell’Irpinia. Naturalmente non esisteva nessuna abitazione abbattuta dal sisma di 28 anni fa, quindi tantomeno uno status da ripristinare, eppure in maniera truffaldina i suoi complici sono riusciti a fare apparire vero il contrario e a intascare il denaro. Si sono però dimenticati di un particolare per nulla trascurabile: il terreno su cui sono iniziati in fretta e furia i lavori si trova in un’area vincolata in cui è impossibile edificare, quindi terremoto o non terremoto non era ipotizzabile che lì ci fosse qualcosa. Colta con le mani nel sacco, o forse sarebbe più corretto dire con la cazzuola nel cemento, la proprietaria si è guadagnata una denuncia per falso ideologico vista la palese infondatezza della sua istanza, mentre i componenti della Commissione per il terremoto del 1980 sono stati denunciati per abuso d’ufficio. Si tratta di un caso limite ma non isolato che conferma come nell’Italia degli sprechi non ci voglia poi molto per approfittarne. Il tutto mentre, a quasi trent’anni da una tragedia di enormi proporzioni, tanti cittadini vivono stipati in un container. La loro colpa? Forse quella di non avere trovato una commissione benevola come quella capitata alla “signora”.