Specialità Napoletano

CARLO TECCE

Faccia a faccia a distanza. Stesso salotto, stesso anfitrione, diversi commensali.
Walter Veltroni e Silvio Berlusconi si sono avvicendati sugli scranni di “Porta a Porta”: brandelli di programma, promesse ardite e rinunce compite. Niente di nuovo. Tranne un particolare, a pensarci bene. Un direttore distinto e corpulento, costipato nel suo completo blu, scoperto nel 2006 durante il confronto-scontro tra Berlusconi e Prodi. Roberto Napoletano lavora per Il Messaggero, uno dei giornali della catena di Francesco Caltagirone, l’onnipotente imprenditore del mattone, suocero di Pierferdinando Casini, fresco marito di Azzurra. Nel politicamente preistorico 2006, Napoletano era un alfiere del centrodestra: uno schieramento senza trattino, tanto consunto quanto compatto. Il successore di Gambescia, passato alla carica di onorevole con l’Unione, è stato pizzicato dalle telecamere di “Striscia la Notizia” nella notte del 10 aprile 2006. Nelle concitate ore dello spoglio, Napoletano parlava accorato al telefono con un alto dirigente dell’Udc, nel vano tentativo di spiegargli la posizione del giornale e la struttura del menabò, la direzione del timone e il taglio in pagina. Serviva un intervento immediato, un richiamo all’ordine per i giornalisti. «Ho fatto fare una valanga di commenti ai nostri editorialisti, dove tutti sottolineano i valori moderati dell’Udc. Abbiamo fatto: “L’Udc raddoppia i consensi, vicino al 7 per cento”, questo è il titolo di dentro…», rassicura ai vertici del partito di Casini (citazione da “La scomparsa dei fatti” di Marco Travaglio, il Saggiatore editore). Il titolo del giorno seguente sarà fedele alle spinose trattative notturne: «Exploit dell’Udc. Bene Ulivo e FI». Il fatto riaffiora alla mente guardando il Napoletano furioso, a tratti incontinente, sempre indisponente nel porre le domande a Berlusconi: un intervistatore a stento trattenuto da Vespa, qualcosa che proietta la televisione alla terza, quarta Repubblica. Un futuro ignoto, insomma. E pensare che soltanto 23 mesi fa, quando Casini era alleato di Berlusconi, il buon Napoletano era stato scelto – e poi si comporterà in ossequio – per il suo spirito mansueto e le sue idee conformi alla Casa delle Libertà. La coerenza non sarà una virtù della politica, ma nemmeno di alcuni giornalisti.

Il voto. O la gita


SERENELLA MATTERA

Piccole tragedie da campagna elettorale. Quelle degli esclusi dalle liste. O, peggio ancora, quelle dei candidati perdenti in partenza, perché tanti altri hanno la precedenza. Per alcuni di loro, i suoi, Marco Pannella ha iniziato uno sciopero della sete. Per denunciare un’ingiustizia, il mancato rispetto dei patti, il venir meno alla parola data. «L’accordo era per nove candidati radicali eletti e quindi in posti sicuri», ha detto. Veltroni gliene ha piazzati solo sei, «forse sette». E Pannella smette di bere. Chissà se avrà emuli tra gli esclusi dalle liste del Popolo della libertà.
Intanto la casella delle e-mail inizia a intasarsi di inviti a non votare, a boicottare la Casta, perché tanto sono tutti uguali. Ma c’è chi alle urne non vuole mancare. Perché «andare a votare è importante». Più importante anche della gita di fine anno, prima della maturità, quella che si ricorda per tutta la vita. Possibile? Pare proprio di sì. Un gruppo di studenti della V D dell’istituto tecnico commerciale Pareto di Milano è pronto a rinunciare al viaggio di istruzione a Berlino, dall’11 al 15 aprile, per poter andare alle urne per la prima volta. «Hanno dato per scontato che a noi non interessasse votare» ha detto Silvia ad Annachiara Sacchi, del Corriere della Sera. E il problema ora per i ragazzi è grosso, perché se rinunciano alla gita, perdono i cento euro di caparra. Vai a credere agli adulti. Gli avevano assicurato: «Potrete votare in ambasciata». Niente da fare, naturalmente. E ora loro ci stanno pensando, a rinunciare alla gita. Vogliono votare. A dispetto dell’antipolitica. A dispetto del fatto che i candidati sono nominati dai partiti. A dispetto del fatto che già si sa chi di loro sarà eletto e chi no. A dispetto di questo e tanto altro. Ma forse è proprio così che deve essere. Perché da giovani si va dritti per la propria strada, fregandosene di tutto e tutti.