La composta assenza della first lady Agnese

C’è una ragione perché ricordiamo il suo cognome oltre il nome di battesimo. E il motivo è che Agnese Landini è riuscita a conservare la propria identità nonostante un compagno così straripante ed eccessivo. È parsa premurosa verso di lui, egocentrico e perciò abituato alla solitudine dei narcisi, ma mai adorante. Non è una dote qualunque ed è giusto riconoscerglielo oggi. Agnese Landini ha resistito, non è esondata sui giornali, per fortuna non ha aperto le porte di casa alle tv. Non si è messa in posa ai fornelli, non ha cambiato giacca per andare a scuola. È riuscita a contenersi persino quando avrebbe avuto motivo per mandare a quel paese i fanatici che le contestavano il contratto di docente a tempo indeterminato. Come se lo status di moglie del premier avesse dovuto presupporre un di più di precarietà. Infine: non ha sorriso oltre misura, non si è commossa più del dovuto. È stata accanto al suo compagno per gli obblighi del cerimoniale. È sparita dal suo fianco quando ha scelto che fosse meglio sparire. Ed è ricomparsa quando lui ha chiesto una mano e lei ha valutato di dargliela. Chapeau.

da: Il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2016

Il potere è sempre antipatico, ma Renzi ci ha messo del suo

nardiL’antipatia è come una casa: si costruisce giorno per giorno, mattone su mattone. Matteo Renzi ha impiegato due anni per divenire antipatico e ci è riuscito. Avrebbe potuto far meglio? Nel senso di essere più simpatico, alla mano, prudente, modesto, sobrio? E se avesse fatto meglio sarebbe riuscito a raccogliere più voti, più sorrisi, più battimani? “Il potere è sempre antipatico, è quoziente ineliminabile della funzione, è linea indelebile, segno che qualcuno sta sopra di noi e ci comanda e per ciò stesso – ricorda Marco Belpoliti, geografo del corpo del potente, indagatore del sopracciò – ci sta sulle scatole. Ma proprio la sua spavalderia è stata mezzo di trasporto verso l’alto soglio. La furbizia, la scaltrezza l’hanno reso popolare, e i cortigiani hanno baciato la sua mano proprio in ragione del vasto encomio pubblico. L’adulazione di cui è stato oggetto ha la medesima radice. Egli ha guadagnato fama per il talento che ha dimostrato, ma anche per i tratti salienti del suo carattere: la velocità con la quale ha preso posizione, la disinibizione nei giudizi, la capacità di spiazzare, la sapienza nell’utilizzare la battuta fulminea e tagliente. E poi quel sarcasmo, quell’aggressività lessicale. All’opposto, come uno specchio rovesciato, il quoziente di antipatia saliva e saliva e saliva. Relazione funzionale al potere conquistato, all’adulazione e al consenso ottenuto”.

NON SAPPIAMO in che modo possa tornare il nostro Matteo ad essere simpatico, come chiedeva Oscar Farinetti, il re del sorriso commercializzabile all’ultima Leopolda. Magari togliendo di mezzo l’aereo di Stato fino a limare i dettagli, riducendo anche i selfie? E sarebbe bastato? Magari c’era da fare un buco anche nella scorta della polizia, il cordone che lo isolava e a volte lo difendeva a suon di manganellate, dai disturbatori di ogni genere e colore politico. “La mia scorta è la gente”, aveva detto all’esordio. E si è visto. Come la bici. Ha pedalato cinque minuti e poi via con le auto blu. Restano sul campo alcune domande secondarie inevase: andare da Barbara D’Urso fa simpatia o antipatia? Vestire da Fonzie è una figata o una stronzata? E le slide? Parlare al Paese riducendo a slogan le leggi fa capire o incupìre? Insomma: troppo bravo o troppo furbo? La proposta di Farinetti di ritornare ad essere simpatico è comunque bocciata da Belpoliti. “Si tratta di una banalizzazione della questione. Antipatico è perché potente. E col potente noi cittadini utilizziamo prima del giudizio il pregiudizio. Abbiamo bisogno di trovare una ragione ai nostri pregiudizi: l’antipatia è perfetta”.Continue reading

PER VOTARE UNA LEGGE GIÀ C’È: UGUALE PER TUTTI

Basta riaprire i cassetti e tirarla fuori. La legge elettorale è bella e pronta. È quella che seguì al referendum popolare che nel 1993 aveva decretato l’abolizione del sistema proporzionale. Il popolo è sovrano, vero? Il Parlamento approvò la riforma che coniugava felicemente la governabilità (75% dei seggi attribuiti col maggioritario) con la rappresentanza (25% col proporzionale), introducendo il deputato di collegio e restituendo alla politica una relazione quotidiana e diretta con il proprio eletto. Con quella legge si sanerebbe poi la ferita del Porcellum, sistema di voto ideato per costruire la vittoria a tavolino di una parte, e si supererebbero gli eccessi dell’Italicum che regala il governo alla minoranza assoluta del Paese. Il Mattarellum piaceva nel 2013 a Matteo Renzi, per fare un nome. E a Beppe Grillo, per farne un altro. Renzi sostenne lo sciopero della fame di Roberto Giachetti per convincere il Pd a superare le secche di una legge ingiusta e restaurare il Mattarellum. Allora il partito era guidato da Bersani, premier era Letta. E fu no. Ma quella mozione fu sottoscritta e condivisa anche dai Cinque Stelle e da Sel. Vero che il centrodestra è stato sempre contrario, ma nel tempo i giudizi su quel sistema sono via via cambiati tanto che un esponente di quello schieramento, Gaetano Quagliariello, oggi sostiene l’opportunità di farvi ritorno. E l’obiezione che, a differenza di ieri, il sistema sia tripolare è totalmente superabile. L’aggiornamento del Mattarellum con un premio di maggioranza di 90 seggi alla lista o coalizione meglio piazzata (la legge prevede il turno unico) è già stata illustrata fin nei dettagli da tre parlamentari del Pd che l’hanno riproposta. Se si vuole andare a votare la legge c’è. Ed è finalmente uguale per tutti.

Da: Il Fatto Quotidiano, 7 dicembre 2016

La ministra, Denis e gli altri volti al macero

E di lei ora cosa ne sarà? Più di ogni altro sembra che sia il destino di Maria Elena Boschi a intristirsi di botto e il suo orizzonte farsi nero come la pece. Il voto si è trasformato in uno scarabocchio sul suo viso. È la ministra delle Riforme cassate dal popolo. A Maria Elena non rimane che raccogliere le carte, svuotare i cassetti, allineare i tacchi amati delle sue scarpe e lasciare ingiallire nella stanza di palazzo Chigi – che non rivedrà più – ambizione e sogni. Era la preferita del premier, la più bella del governo, già venerata come Madonna pellegrina e in procinto di un traguardo alla portata del suo coefficiente politico: succedere proprio a Matteo Renzi. Ma ieri sera, nei ringraziamenti finali, non c’è stato nemmeno un cenno al suo nome. Soltanto l’anno scorso, era ottobre, accreditata come la più popolare dell’esecutivo. Poi il collasso e infine il trapasso. Banca Etruria, i soldi fregati ai risparmiatori, il babbo coinvolto… Come in una curva pericolosa Maria Elena ha perso il controllo di sé e da angelica è divenuta famelica, da venerata a maledetta. Persino il corpo ne ha sofferto e la sua bellezza, dapprima vagheggiata e idolatrata, è andata scolorendosi, annullata e perduta nel gorgo delle polemiche. Cosicché a gennaio di quest’anno la sua popolarità era già scesa di tre posizioni per giungere sotto il sole rovente di agosto al penultimo posto. Tristezza. Dal meglio al peggio, da fatina a streghetta. Da favorita a esclusa. Mandata in Sudamerica come meta triste e solitaria di un viaggio elettorale di serie B si è di nuovo accostata al proscenio ma con scadenti performances. Su tutte si ricorda il suo discorso a Campobasso: “Il Sì sarà anche una risposta al terrorismo internazionale”. Bum!

NELLA BAD COMPANY che il voto consegna al Palazzo, la trilogia dei volti andati al macero comprende sicuramente quello di Vincenzo De Luca. Sarà ricordato come il teorico della clientela, l’uomo della frittura di pesce, il governatore da voto di scambio. Il discorso tenuto agli amministratori campani sulla necessità di far votare Sì (“Me ne fotto se vi piace o non vi piace Renzi”) è una tavola sinottica dello scambismo, il dizionario della clientela. Sono i soldi che puliscono le coscienze e sempre e solo i soldi che convincono tutti. “Anda – te e portate al voto almeno la metà degli aventi diritto”. La metà ci è andata pure ma il voto non si è visto. E De Luca da campione renziano del fare, fare presto, prestissimo, diviene un girovago senza chiesa e senza casa. Come un calciatore con il contratto scaduto. È sul mercato, ma ora il cartellino vale assai meno. Il terzo posto d’onore va a Denis Verdini. L’uomo del l’ultimo miglio, Denis il fiorentino ha vissuto la sua stagione di imprevisto Costituente. Tenuto celato agli occhi degli elettori per tutta la campagna referendaria per via dei suoi molteplici guai giudiziari e della sua notoria levatura intrallazzista, alla fine dei giochi, proprio quando si sentiva lì lì per fare banco ed entrare da statista nel nuovo Parlamento e nel governo, il suo nome diviene un soufflè andato a male, e i polsini d’oro delle sue camicie si perdono nel campo degli sconfitti.

SERVIREBBE un elenco alfabetico per ricordarli tutti: iniziando dalla A di Angelino Alfano, e proseguendo con la B di Vincenzo Boccia, il presidente della Confindustria, la C di Fedele Confalonieri o di Pierferdinando Casini. E poi giù, fino alla M di Sergio Marchionne o alla S di Davide Serra, l’ipercinetico finanziere del renzismo. E poi ancora e ancora…

da: Il Fatto Quotidiano, 5 dicembre 2016

ALFABETO – PIER CARLA CAMORIANO: Sindaca leghista nel Vercellese, ha accolto 14 nigeriane: “Sono mamma e nonna. Ho figlia e nipote”

camorianoC’è una città in Italia dove le donne sono più forti e sono meglio piazzate sul ponte di comando. È la terra delle mondine, la radice quadrata della società femminile contadina e operaia, la piana da biliardo dove Vercelli fa da caposcuola. Lì il prefetto è Maria Rosa Trio, il questore è Rosanna Lavezzaro, il sindaco è Maura Forte. Dal capoluogo alla campagna altre donne hanno fatto carriera. E a Covra, spiazzo urbano che taglia le risaie e accoglie ogni tipo di zanzara, è salita sullo scranno di prima cittadina Pier Carla Camoriano, amante dei fornelli e della Lega. Su quel che ha fatto Matteo Salvini dovrà riflettere.

Un giorno al sindaco fanno toc toc.

Vengo a sapere che un cittadino del mio Comune ha reso disponibile la propria cascina per dare ospitalità ai profughi. La mia comunità è così piccola, siamo poco più di 400 abitanti, e abituata ai riti della campagna, ai costumi di una vita piallata dalle abitudini. Le uniche emozioni ci arrivano dal telegiornale. E sui profughi non c’era da stare allegri: si vedevano solo casini in giro. Tante cattive notizie.

Il paese si scuote e s’indigna.

Siamo brave persone, i toni sono miti. Però la preoccupazione c’era. Chi mai verrà? E cosa ci aspetterà? La legge estromette il sindaco da qualunque decisione, però mi sono sentita ugualmente investita della responsabilità di tutelare il mio paese, rappresentare i timori più che legittimi.

E allora che fa?

Vado dal prefetto. E le chiedo di darmi una mano. È donna, e questo mi sarà d’aiuto. È una persona squisita e disponibile. Viene da noi in paese, incontra la cittadinanza. Mentre si discute pensiamo come fare, cosa fare. Mi dico: e se girassimo la frittata?Continue reading