“Il nostro Stato Sociale: selfie, amore e art. 18. Zero canzoni-comizio”

Nel Palazzo la sinistra si ammoscia, nel Paese si mimetizza, nelle piazze prende vergogna, o si perde in punte disperate: per esempio Antonio Gramsci ridotto a scenografia di un comizio di Pierferdinando (Pierfurby) Casini. Nessuno ci pensa ma cinque ragazzi, trentenni e bolognesi, hanno promosso il ravvedimento operoso almeno delle note, aperto la strada al socialismo musicale e ridato dignità e popolarità a una coppia di parole che oggi vive nella sfortuna: Lo Stato Sociale. “Diciamo sempre la stessa cosa: occupiamo un luogo che altri hanno lasciato sguarnito. Quando abbiamo dovuto pensare a un nome, ci siamo chiesti: cosa manca all’Italia? Lo Stato Sociale! Allora cazzo ci siamo noi”.

SORRIDENTI, estrosi, teatrali e soprattutto intonati. Albi, Checcho, Bobo, Lodo e Carota, tutti nati tra l’84 e l’86, con le idee ben piantate in testa, hanno dato vita alla sinistra canterina, facendo a brandelli ogni clichè. Da veri transformers producono l’arte tra evoluzioni buffonesche, alcune bambinesche, illuminate memorie marxiste e sentimentalismi pop. A Sanremo sono stati travolgenti con quella vita in vacanza, la vecchia che balla eccetera eccetera e adesso raccolgono i frutti. Milioni di visualizzazioni su youtube, fanciulle stregate, sarabanda di incontri per il firma copie, lo strumento del proselitismo. “Vedi oggi? Siamo a Pescara, novanta minuti di ritardo a causa di un treno pigro. Salgono a gruppi, noi cantiamo tre canzoni, poi le firme, poi i selfies, poi l’altro gruppo, altre tre canzoni…”. Cento alla volta, per cinque volte e quasi tutti i giorni e quasi in tutta Italia.Continue reading